mercoledì 28 giugno 2017

Identitari o globalizzati ?

Attualmente “identità culturale” e  “globalizzazione” 


sembrano in molti ambiti indicare realtà contrastanti.
Nell’ambito delle organizzazioni politiche internazionali la globalizzazione esige apertura alle idee altrui e rinuncia alle proprie tradizionali.
In quello dell’economia la cosa è ancor più evidente: il cliente ha sempre ragione !
Anche nel campo sociale, dell’immigrazione per es.,  avviene lo stesso.


Ma è possibile per una persona od un gruppo omogeneo rinunciare del tutto alla propria identità?

Si può rispondere positivamente se la persona /il gruppo intendono raggiungere un fine superiore, per loro essenziale. Nel campo del commercio, ad es., se voglio solo il profitto, ne segue che devo ‘globalizzarmi’, cioè rinunciare a componenti non richiesti che influenzano il prodotto.

Ma escluso questo modello, o modelli simili, resta il problema intuitivo di dove si debbano porre i limiti tra le due esigenze.

In generale si può dire che su 10 componenti della mia cultura 20 % sono interscambiabili.
Ad es. se come uomo debbo materialmente portare i pantaloni o un ampio abito aperto. Ma in altri casi i componenti della identità non sono così indifferenti: come la manifestazione della mia religione oppure del mio agnosticismo.  Lo stesso vale per i discorsi intorno alla struttura fondamentale della famiglia tradizionale: uomo + donna+ figli.

Il vero problema morale e sociale consiste nella pratica di queste idee. 

Dal momento che nessuno è in grado di prevedere concretamente lo sviluppo della società in cui vive, è difficile prevedere concretamente a quali valori /caratteri rinunciare, quali sviluppare, quali cambiare.
La conclusione è che per cogliere questo problema ed ancor più per avviarlo a soluzione è necessaria una filosofia generale, ed un antropologia in particolare, che serva da criterio di riferimento. Riferimento che coinvolga la flessibilità, ma non la mutabilità assoluta.

Per questo molte teorie etiche tendono ad essere formali (i valori) 

ed a rifiutare la possibilità di fissare  comportamenti precisi (le norme morali).  Come hanno fatto Kant e le filosofie e teologie di ispirazione trascendentale.  Veritatis Splendor e  Alla ricerca di una etica universale della Commissione Teologica Internazionale sono il tentativo di determinare e poi assimilare queste esigenze.
Le  teorie formalistiche risolvono problemi immediati, però non si sanno autonomamente separare dalle teorie relativiste.

Anche i principi di Non maleficenza, beneficenza, giustizia, autonomia 

sono tentativi di risolvere questo problema nel campo morale.

Resta però fuori tutto l’ampio campo della identità culturale di un popolo, della sua lingua della sua tradizione. Fin dove difenderli e fin dove dissolverli in sistemi ‘globalizzanti’ ? Come definire i confini tra trasmissione legittima di valori tradizionali e aperture inclusive dei nuovi venuti ?