Parlare con Dio
E’ più facile parlare di Dio che parlare con Dio. Molti hanno
parlato di lui in passato. Tanto da confonderci le idee, solo se volessimo
ascoltarli tutti. Ma parlare con Dio è un’altra cosa.
Io lo trovo difficile e, negli ultimi tempi, molto difficile.
Forse da quanto ho preso coscienza della svolta
illuministica dell’Occidente come svolta epocale di cambiamento del paradigma
di visione del mondo. Un mondo non più guardato con gli occhi dell’uomo
religioso che tutto riferisce direttamente
a Dio, bensì con quelli dell’uomo moderno che tutto guarda attraverso le
scienze empiriche. L’ho letto in un libro del sociologo-filosofo canadese Ch. Taylor,
e mi ha subito convinto; forse perché già stavo pensando in questa linea.
Guardare il mondo in modo diverso, significa anche guardare Dio in modo diverso: al di fuori delle immagini oleografiche del passato.
La tentazione che ne sgorga è quella del deismo: esiste un Dio ma non lo conosciamo per niente; forse è una
‘forza’; certo non gli si può parlare come ad una persona.
Con tale posizione non siamo molto lontani da quella di
Umberto Veronesi, che asseriva di non credere in Dio ma di non aver nemmeno le
prove scientifiche della sua non esistenza. Il che comporta logicamente che non
ha senso parlare con lui.
Parlare con Dio è un’esperienza, non un ragionamento sui nostri rapporti con lui.
Si può rappresentarselo in molti modi, il nostro Dio,
ma per noi cristiani non c’è che il modo della Bibbia e soprattutto del Nuovo
Testamento.
Gli esegeti ci hanno insegnato che i testi vanno
demitizzati, reinterpretati, ermeneutizzati. Ma se vogliamo non perdere il
contatto personale con Dio dobbiamo rappresentarcelo come Gesù di Nazareth ce lo
ha presentato. O meglio, come la comunità cristiana primitiva lo ha appreso da
lui.
Un Dio personale, di misericordia e di bontà. Non molto
diverso da quello che per secoli tutti i cristiani hanno immaginato e,
soprattutto, con il quale sono entrati in dialogo.
E’ il Dio del discorso della montagna, è il Dio che conosce ogni capello della nostra testa, è il Dio che si occupa di noi e noi delle sue cose.
Un Dio che possiamo pregare con semplicità, perché così ci
ha insegnato Gesù. Un Dio che, come nel Padre Nostro, possiamo chiamare ‘padre’,
senza incorrere in regressioni infantilistiche.
Nonostante i terremoti, i delitti atroci, le nostre sciagure
personali e familiari.
Lui sa come le due cose – disastri e provvidenza - stanno
insieme. Noi sappiamo solo che Lui lo sa e che noi in Lui abbiamo fiducia, e per
questo gli parliamo delle nostre cose e di quelli dei nostri cari.
E non dimentichiamo neppure di chiedere a sua madre, la Madonna,
di aiutarci a credere, ad aver fiducia, a mantenere il contatto diretto
con Lui nella nostra vita quotidiana.