venerdì 2 dicembre 2016


Parlare con Dio


E’ più facile parlare di Dio che parlare con Dio. Molti hanno parlato di lui in passato. Tanto da confonderci le idee, solo se volessimo ascoltarli tutti. Ma parlare con Dio è un’altra cosa.


Io lo trovo difficile e, negli ultimi tempi, molto difficile.


Forse da quanto ho preso coscienza della svolta illuministica dell’Occidente come svolta epocale di cambiamento del paradigma di visione del mondo. Un mondo non più guardato con gli occhi dell’uomo religioso che tutto riferisce direttamente a Dio, bensì con quelli dell’uomo moderno che tutto guarda attraverso le scienze empiriche. L’ho letto in un libro del sociologo-filosofo canadese Ch. Taylor, e mi ha subito convinto; forse perché già stavo pensando in questa linea.


Guardare il mondo in modo diverso, significa anche guardare Dio in modo diverso: al di fuori delle immagini oleografiche del passato. 


La tentazione che ne sgorga è quella del deismo: esiste un Dio ma non lo conosciamo per niente; forse è una ‘forza’; certo non gli si può parlare come ad una persona.
Con tale posizione non siamo molto lontani da quella di Umberto Veronesi, che asseriva di non credere in Dio ma di non aver nemmeno le prove scientifiche della sua non esistenza. Il che comporta logicamente che non ha senso parlare con lui.

Parlare con Dio è un’esperienza, non un ragionamento sui nostri rapporti con lui. 


Si può rappresentarselo in molti modi, il nostro Dio, ma per noi cristiani non c’è che il modo della Bibbia e soprattutto del Nuovo Testamento.

Gli esegeti ci hanno insegnato che i testi vanno demitizzati, reinterpretati, ermeneutizzati. Ma se vogliamo non perdere il contatto personale con Dio dobbiamo rappresentarcelo come Gesù di Nazareth ce lo ha presentato. O meglio, come la comunità cristiana primitiva lo ha appreso da lui.
Un Dio personale, di misericordia e di bontà. Non molto diverso da quello che per secoli tutti i cristiani hanno immaginato e, soprattutto, con il quale sono entrati in dialogo.

E’ il Dio del discorso della montagna, è il Dio che conosce ogni capello della nostra testa, è il Dio che si occupa di noi e noi delle sue cose.


Un Dio che possiamo pregare con semplicità, perché così ci ha insegnato Gesù. Un Dio che, come nel Padre Nostro, possiamo chiamare ‘padre’, senza incorrere in regressioni infantilistiche.

Nonostante i terremoti, i delitti atroci, le nostre sciagure personali e familiari.
Lui sa come le due cose – disastri e provvidenza - stanno insieme. Noi sappiamo solo che Lui lo sa e che noi in Lui abbiamo fiducia, e per questo gli parliamo delle nostre cose e di quelli dei nostri cari.

E non dimentichiamo neppure di chiedere a sua madre, la Madonna, 

di aiutarci a credere, ad aver fiducia, a mantenere il contatto diretto con Lui nella nostra vita quotidiana.